Quando ci alleniamo a essere coach più riflessivi, stiamo affinando la nostra presenza. Non solo la nostra preparazione. E se scoprissimo che a potenziare questa presenza, oggi, può essere un’intelligenza artificiale?
È questa la domanda che ha accompagnato l’evento di SCP Italy – Society for Coaching Psychology Italy – La pratica riflessiva incontra l’intelligenza artificiale del 25 giugno 2025 e che continua a echeggiare in molte comunità professionali impegnate a esplorare l’uso consapevole della GenAI nel coaching.
ReflectAI: come sfruttare le potenzialità dell’AI generativa
Prima di tutto: di che intelligenza artificiale parliamo? Non dell’AI in generale – una definizione troppo ampia per essere utile – ma dell’AI generativa, come i grandi modelli linguistici (LLM) alla base di ChatGPT. Tecnologie capaci di sostenere conversazioni articolate e creare contenuti in modo coerente e contestualizzato. In questo senso, l’AI può diventare un vero e proprio partner cognitivo.
Partner cognitivo significa che non risponde al posto nostro, ma ci aiuta a pensare meglio. Stimola la riflessione, ci offre domande, ci invita a rileggere quello che abbiamo detto o fatto con occhi nuovi. È quello che accade nel progetto ReflectAI realizzato e promosso da SCP Italy: un bot conversazionale, allenato su basi teoriche di coaching psychology, con cui i coach possono riflettere in autonomia dopo una sessione. Una palestra, appunto, per la riflessività.
La riflessività al centro del coaching
Perché questo è importante? Perché la riflessività non è un lusso o un’aggiunta. È il cuore della qualità del coaching. Non a caso, la competenza “Presenza” è una delle 7 competenze chiave dell’ICF (International Coaching Federation). Essere presenti significa essere pienamente consapevoli, capaci di ascoltare, di stare nel non sapere. Significa creare quello spazio in cui il coachee può trovare nuove risorse e nuove strade.
In questo senso, l’AI può sfidare e stimolare la nostra intelligenza creativa, emotiva e relazionale. Può aiutarci ad affinare il linguaggio, a vedere i nostri punti ciechi, a migliorare la nostra capacità di fare domande e di sostare nel silenzio. Può diventare leva per la nostra presenza.
Ricorrere all’AI come risorsa per il cambiamento
Ma – ed è un “ma” importante – questo richiede consapevolezza. Come ricorda Anna Gallotti, Executive Coach e fondatrice del Group Coaching Institute, in un articolo sull’AI Sycophancy, il rischio è che l’AI diventi troppo accondiscendente, troppo compiacente. Oppure che ne diventiamo dipendenti. E allora quella stessa presenza che vogliamo coltivare si indebolisce. Per questo è fondamentale un uso vigile, critico, etico dell’AI.
In fondo, la vera sfida non è tecnologica, ma relazionale e culturale. Non si tratta di capire cosa può fare l’AI, ma di scegliere come vogliamo crescere insieme a essa. I coach, oggi, possono scegliere: tra scorciatoie e sviluppo autentico, tra controllo e co-creazione, tra superficialità e profondità.
Lo vedo ogni giorno nel lavoro del gruppo “Intelligenza artificiale & Coaching” del Comitato scientifico di ICF Italia e nel “Research Hub AI di SCP Italy”: professionisti che si pongono domande profonde, che sperimentano, che mettono in discussione le proprie pratiche per diventare coach migliori. Non per cedere il timone all’AI, ma per usarla come risorsa per la consapevolezza e il cambiamento.
Il coaching non è uno strumento. È una relazione. E se una tecnologia ci aiuta a riflettere meglio su come stiamo in relazione, allora forse non ci sta sostituendo. Ci sta allenando a essere più umani.
Maria Rita Fiasco, Coach PCC ICF, Senior trainer e Management consultant