Diventare coach

La scelta di diventare coach: un viaggio nella consapevolezza

Mi chiedono spesso cosa mi abbia spinto a diventare coach. Come direbbe un coachee guidato da un bravo mentore: «questa è un’ottima domanda» e la risposta racchiude un percorso che è prima di tutto personale, prima ancora che professionale.

Dalle radici filosofiche alle risorse umane

Ho studiato filosofia per passione, perché amavo riflettere, farmi domande, lasciarmi stimolare dal pensiero. È lì che ho incontrato per la prima volta la maieutica socratica, l’arte di far emergere la verità già presente dentro di sé, ma ancora inconsapevole, attraverso il dialogo, quella stessa pratica che molti anni dopo avrei ritrovato nel coaching.

Dalla teoria sono passata alla pratica, approdando dopo gli studi al mondo delle risorse umane. In azienda ho imparato a conciliare due linguaggi apparentemente distanti: quello delle persone, fatto di motivazioni, talenti e bisogni profondi, e quello del business, orientato ai risultati, all’efficienza e al pragmatismo. Ma è stato proprio in quel contrasto che ho trovato la mia strada.

Il coaching: l’incontro che ha unito i due mondi

Il coaching è arrivato al momento giusto, come un tassello che completa il puzzle. In questa disciplina ho riconosciuto la stessa maieutica che mi aveva colpito durante gli studi, ma applicata alla concretezza della vita e del lavoro. Non motivazione superficiale, non consigli preconfezionati, ma domande potenti, ascolto autentico: un metodo strutturato per accompagnare le persone al raggiungimento dei propri obiettivi.

E così, quella che all’inizio era solo curiosità – inizialmente anche condizionata dagli stereotipi – è diventata una scelta consapevole. Mi sono formata, ho studiato, ho sperimentato su me stessa la forza di questo strumento. E ho capito che il coaching era il ponte perfetto tra le mie radici filosofiche e l’esperienza aziendale: profondità e azione, riflessione e risultato.

Il significato più autentico del coaching

Il termine coaching deriva da coach, che in inglese, tra le altre cose, significa “carrozza”: un’immagine evocativa che racchiude l’essenza di questa disciplina, ossia l’arte dell’accompagnamento. Così come una carrozza accompagna a destinazione, il coach crea le condizioni affinché il coachee trovi le proprie risposte.

Il coaching nasce da un bisogno universale: il desiderio di evolversi. Spesso ci troviamo in una situazione di stallo, incertezza o insoddisfazione, consapevoli di voler cambiare ma senza una direzione chiara. È qui che il coaching interviene, trasformando l’intenzione in azione. Attraverso un dialogo strutturato, aiuta a definire obiettivi concreti, a smantellare ostacoli invisibili e a compiere passi misurabili verso il cambiamento. È uno spazio dedicato in cui la consapevolezza si traduce in strategia, e la strategia in risultati.

La scelta di accompagnare gli altri

Decidere di diventare coach è stata una conseguenza naturale del mio percorso che dall’esperienza aziendale mi ha portato a sperimentare personalmente la forza trasformativa di questa disciplina volendola poi condividere con gli altri.

Ogni persona possiede già la sua stella polare – valori, talenti, desideri profondi – a volte oscurati.  Il coach è chi, come un faro, aiuta a riconoscere convinzioni limitanti, accende fasci di luce dove sembra ci sia solo oscurità aprendo nuove prospettive e resiste alle intemperie restando un punto fermo, creando uno spazio sicuro per l’esplorazione. Il coach, che esercita con umiltà, sa che nell’altro c’è già la vera luce e che il proprio compito è semplicemente tenerla accesa, finché gli occhi del coachee non impareranno a vederla da soli.

Ecco perché ho scelto questa strada: non per insegnare rotte, ma per ricordare a chi naviga che i fari esistono, e che a volte basta un raggio di domande ben poste per ritrovare la rotta.

Alice D’Alessio, Coach ICF e Emotional intelligence practitioner

Alice D'Alessio
Author: Alice D'Alessio

Coach, Emotional intelligence practitioner

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