Credo che questo non sia il tempo di consolarci con storie più o meno emozionanti e edificanti, né di accontentarci dei vari punti di vista: è del pensiero che c’è bisogno, dell’agostiniano “grido del pensiero” (clamor cogitatis), di cui non percepiamo più né il suono né il timbro.
Nel suo ultimo libro pubblicato per Laterza, Magister. La scuola la fanno i maestri non i ministri, Ivano Dionigi eleva «un’ode civile all’educazione», un elogio alla scuola considerata come contrappeso al «monoteismo tecnologico imperante, che ci isola e ci tiene avvinti alle spire del presente». L’autore è professore emerito di Lingua e Letteratura latina dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, di cui è stato rettore dal 2009 al 2015, e invita gli adulti a essere «punti di congiunzione fra il tramonto e il nuovo giorno», tra il passato e il futuro delle nuove generazioni che devono essere accompagnati nel loro cammino per diventare responsabili del loro ruolo nel mondo. La responsabilità è al centro anche del libro Anime fragili di Matteo Saudino di cui puoi leggere qui una recensione.
L’obiettivo è ritrovare il vero senso della scuola come «palestra di dialogo» per «formare persone egregie e non gregarie, vale a dire intelligenze libere e capaci di porre limiti e ribellarsi a macchine più o meno intelligenti». Un tale nobile scopo può – e forse deve – essere esteso a tutto il mondo della formazione su cui ciascuno dovrebbe investire, dai giovani studenti agli adulti lavoratori. Dionigi ne auspica una riforma fondata su tre parole d’ordine: Interrogare, Intelligere e Invenire.
Interrogare: prendersi cura dell’uomo
Il primo fondamento è l’ars interrogandi, che «è proprietà più nobile e decisiva della stessa ars respondendi. Coltivarla significa abitare le domande». La più importante da porsi è la stessa che un giorno il filosofo Socrate pose all’allievo Gorgia: «Tu chi sei?» Un invito a conoscersi, a comprendere il linguaggio della propria interiorità, non solo ritirandosi in sé ma anche in rapporto con la società, per vivere con consapevolezza la propria quotidianità. Secondo l’insegnamento di Ippocrate bisognerebbe tornare ad affiancare la cura della tecnica, la «philotechnía», con la cura dell’uomo, la «philanthropía».
Intelligere: tecnica e umanesimo per un mondo complesso
Oggi si tende a preferire le risposte veloci che favoriscono il pensiero dominante, a semplificare la complessità, a concentrarsi sul “fare” e l’efficacia delle azioni. Dionigi allora invita a riscoprire l’Intelligere, inteso nella doppia etimologia di “cogliere (legere) la profondità (intus) delle cose” e “cogliere (legere) la relazione (inter) tra le cose”: l’uomo dovrebbe avere una «conoscenza interna e intima, mediata e meditata dei problemi, non solo competenza tecnica e immediata» così come una «conoscenza relazionale, plurale, circolare, non solo specialistica, puntiforme, monoculturale». Prometeo, profeta della tecnica, dovrebbe camminare con Socrate, profeta dell’umanesimo: «l’inventore del dia-logo, il professionista dell’ignoranza («so di non sapere»), lo stalker interrogante, il competente delle domande».
Invenire tra passato e presente
Occorre poi riscoprire il senso autentico della parola Invenire, «ovvero “scoprire”, nel duplice significato di “disseppellire e recuperare il notum”, la storia, il passato, la memoria che abbiamo rimosso e sotterrato; e di “inventare e sperimentare il novum”, il mai visto, il mai vissuto, l’inaudito». Bisognerebbe recuperare la lezione degli antichi, di chi è venuto prima di noi, vere risorse per affrontare le sfide contemporanee e per comprendere le grandi opportunità del nostro tempo.
In questo prezioso libro, Ivano Dionigi consegna al lettore tanti strumenti per tornare a dare voce al proprio “grido del pensiero” e soprattutto, per gli adulti, ad ascoltare quello delle nuove generazioni affinché ciascuno abbia la possibilità di “essere quel che si vuol essere”.









