La struttura nascosta delle conversazioni difficili

La struttura nascosta delle conversazioni difficili

Quando il dialogo diventa una trappola

Un mio cliente, manager esperto, doveva comunicare a un collaboratore il mancato rinnovo di un incarico. Si era preparato con cura: dati, motivazioni, argomenti chiari. «Avevo tutto sotto controllo», mi ha detto. Eppure, in pochi minuti, la conversazione è degenerata: toni accesi, accuse reciproche. «Ma io avevo ragione», ripeteva, visibilmente scosso. Pochi giorni dopo, una coach in supervisione mi racconta un episodio simile: aveva cercato di parlare con il partner della divisione dei compiti familiari. Anche qui, buone intenzioni e preparazione accurata. Risultato: un conflitto che ha riaperto vecchie ferite. Due contesti diversi, stesso esito inaspettato.

Oltre il contenuto apparente

Ci prepariamo alle conversazioni difficili come se fossero soprattutto questioni di contenuto: raccogliamo fatti, costruiamo argomentazioni, cerchiamo le parole giuste. Certamente è importante, ma non è sufficiente. Douglas Stone, Bruce Patton e Sheila Heen, nel libro Difficult conversations, mostrano che ogni scambio complesso ha una struttura a tre livelli. Riconoscerla può fare la differenza tra una discussione che degenera e una che, pur restando impegnativa, diventa generativa.

I tre livelli delle conversazioni difficili

1- Cosa è successo

È il piano più visibile: i fatti, le diverse versioni degli eventi e le nostre interpretazioni. In realtà, questa conversazione si muove su tre domande implicite:

  • Chi ha ragione? Ognuno porta la propria verità, convinto che sia quella oggettiva.
  • Quali sono le intenzioni? Si tende a giudicare l’altro in base alle sue azioni e se stessi in base alle proprie intenzioni, creando un cortocircuito.
  • Di chi è la colpa? La ricerca di un colpevole impedisce di guardare insieme alle responsabilità reciproche. Il manager parlava di performance, la coach di compiti domestici: entrambi cercavano di dimostrare di avere ragione, più che di comprendere cosa fosse realmente accaduto.

2- Le emozioni

Sotto la superficie scorrono emozioni forti: frustrazione, paura, delusione, rabbia. Il collaboratore sentiva minacciata la propria sicurezza; il partner, la propria attenzione riconosciuta. Quando non vengono nominate, le emozioni riemergono amplificate.

3- L’identità

È il piano più profondo: ciò che la conversazione dice di noi. “Sono un buon professionista?” “Un partner attento?” Quando la nostra immagine è in gioco, le difese si attivano e il dialogo si chiude.

Navigare la complessità con consapevolezza

Capire questa struttura cambia radicalmente l’approccio al confronto. Nel coaching ICF, il metodo basato sui tre livelli si collega alla competenza di mantenere la presenza e creare consapevolezza. Quando un leader-coachee si prepara a un dialogo difficile, esploriamo insieme tutti e tre i livelli: contenuto, emozioni e identità. Il manager avrebbe potuto dire: “Capisco che questa notizia possa farti sentire messo in discussione, ma non è la mia intenzione.” La coach: “So che potresti sentirti criticato, ma ciò che voglio è trovare insieme un equilibrio migliore.” Questa lente vale ovunque: dal feedback in azienda a un confronto in famiglia, da una negoziazione a un conflitto nel team.

Le vostre conversazioni difficili

Vi lascio con alcune domande per riflettere:

  • Quali emozioni, vostre e dell’altra persona, potrebbero essere in gioco oltre i fatti?
  • Quale aspetto dell’identità potrebbe sentirsi minacciato?
  • Come cambierebbe il vostro approccio se preparaste tutti e tre i livelli, e non solo il contenuto?

La consapevolezza di questa struttura non rende facili le conversazioni difficili, ma navigabili con più lucidità per ottenere risultati costruttivi per tutti.

Rocco Fanello, Leadership coach

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Author: Rocco Fanello

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