Due versioni, una sola conversazione
Vi ricordate il manager di cui vi ho parlato nell’articolo precedente? Doveva comunicare il mancato rinnovo di un incarico a un collaboratore e si era preparato con cura, ma la conversazione era comunque degenerata. «Ho fatto tutto correttamente», continuava a ripetermi durante la sessione. «Avevo dati oggettivi, avevo seguito le procedure, avevo dato un preavviso adeguato». Gli ho chiesto allora di immaginare come il collaboratore avesse vissuto quella stessa conversazione. È rimasto in silenzio. Poi ha detto: «Probabilmente ha pensato che non apprezzassi il suo lavoro, che lo stessi scaricando dopo anni di impegno». Stessa conversazione, stessa stanza, stesso momento. Due realtà completamente diverse.
L’illusione della verità oggettiva
Questo è uno dei nodi più critici delle conversazioni difficili, quello che Stone, Patton e Heen chiamano la conversazione su “cosa è successo”. Tendiamo a considerare la nostra percezione della realtà come la realtà; cerchiamo di stabilire chi ha ragione e chi ha torto, quando in verità ognuno ha accesso solo alla propria versione degli eventi.
Il manager aveva i suoi dati, le sue osservazioni, le sue intenzioni. Il collaboratore aveva la sua esperienza, le sue aspettative, il suo senso di ciò che era giusto. Nessuno dei due mentiva. Entrambi però vedevano soltanto una parte della verità. Converrete che questo è molto diverso dal dire “ognuno ha la sua opinione”. Non si tratta di relativismo, ma di riconoscere che la nostra percezione è inevitabilmente parziale, filtrata dalle nostre esperienze, aspettative e assunzioni invisibili.
La vera questione non è chi ha ragione, ma come due percezioni legittime possano coesistere e dialogare. Quando ci aggrappiamo alla nostra versione come all’unica verità accettabile, rendiamo impossibile qualsiasi conversazione costruttiva.
Un framework per esplorare prospettive multiple
Nella pratica di coaching, quando lavoriamo su situazioni difficili, esploriamo tre domande fondamentali che aiutano a uscire dalla trappola della verità unica:
- Qual è la mia storia e quale potrebbe essere la sua?
Vi invito a scriverla. “Io vedo la situazione così…” e poi “Lui/lei probabilmente la vede così…” Il manager pensava: “Ho valutato oggettivamente le performance”. Il collaboratore invece probabilmente riteneva di aver dato tutto per l’azienda e percepiva il mancato rinnovo come ingiusto. Non si tratta di indovinare, ma di riconoscere che esiste un’altra prospettiva legittima.
- Quali assunzioni sto dando per scontate?
Spesso le incomprensioni nascono da premesse implicite che non abbiamo mai chiarito. Il manager assumeva che “procedure corrette = comunicazione giusta”. Il collaboratore probabilmente riteneva che “impegno = garanzia di conferma”. Portare alla luce queste assunzioni è già metà del lavoro.
- Come ognuno può aver contribuito a questa situazione?
Questo non significa cercare la colpa equamente distribuita, ma comprendere che in ogni sistema relazionale le dinamiche sono co-create. Nel coaching ICF questo si collega alla competenza di creare consapevolezza: aiutare il cliente a vedere non solo cosa l’altro ha fatto, ma anche il proprio ruolo nel sistema.
Questa struttura vale in molteplici contesti professionali e personali. Durante le sessioni di coaching, ho potuto notare come i leader più efficaci nella gestione delle conversazioni difficili non sono quelli che hanno sempre ragione, ma quelli capaci di sospendere temporaneamente la propria certezza per esplorare genuinamente la prospettiva dell’altro. Tuttavia, tutto ciò da solo non basta se non si traduce in comportamenti concreti durante la conversazione stessa.

Navigare tra prospettive diverse
Vi lascio a riflettere con alcune domande. Pensate a una conversazione difficile che dovete affrontare o che è andata male:
- Quali assunzioni sulla situazione state dando per scontate che l’altra persona potrebbe non condividere?
- Se doveste raccontare la storia dal punto di vista dell’altro, mantenendo la stessa “verità soggettiva” che ha lui/lei, cosa direste?
- In che modo la vostra certezza di avere ragione potrebbe essere parte del problema?
Essere consapevoli che la nostra verità è parziale è il fondamento di conversazioni che, anche restando difficili, diventano generative invece che distruttive.
Rocco Fanello, Leadership coach









