Durante una sessione, una coachee mi ha detto: «Io ti guardo mentre lavoriamo insieme e imparo da come mi fai le domande, da come stai in silenzio, da come mi ascolti».
Questa frase mi ha colpita profondamente. Mi ha fatto riflettere su quanto il coaching sia, oltre che un’esperienza trasformativa per chi la vive, anche un potente spazio di apprendimento delle soft skills fondamentali, come la comunicazione, l’ascolto, l’intelligenza emotiva, la presenza e altre ancora.
Molti clienti, nel tempo, mi hanno raccontato di aver iniziato a usare un tono più gentile con loro stessi, a farsi domande nuove, a cambiare il proprio modo di comunicare con gli altri proprio perché lo hanno vissuto e lo hanno osservato in sessione.
Il coaching come spazio relazionale che educa
Nel modo in cui un coach sta nella relazione c’è un messaggio che va oltre le parole.
Ogni gesto, ogni pausa, ogni domanda potente arriva nello spazio interiore del coachee, attiva risorse e genera nuove consapevolezze.
Anche senza didattica, senza teoria, il coachee spesso apprende nuovi modelli comunicativi e relazionali. Impara:
- a rimanere in contatto con le emozioni senza esserne travolto,
- ad ascoltare senza dover per forza risolvere una situazione,
- a lasciare spazio al silenzio,
- a parlare e a parlarsi con chiarezza e gentilezza insieme.
Apprendere per esposizione: un processo naturale
La scienza ci ricorda che l’essere umano apprende anche per imitazione e osservazione. Il nostro cervello è dotato di neuroni specchio, che ci permettono di interiorizzare comportamenti, atteggiamenti ed emozioni altrui.
Come adulti, spesso impariamo non perché qualcuno ci insegna qualcosa, ma perché siamo immersi in un contesto che ci coinvolge emotivamente, ci attiva nel profondo e ci invita a un modo nuovo di essere.
Cosa ho osservato come Medical Coach
Anche nella mia esperienza di Medical Coach ho osservato, nei coachee con cui ho avuto a che fare, come emerga lo stesso processo in maniera evidente.
Le persone che attraversano momenti di vulnerabilità assorbono ogni gesto, ogni cambio di tono, ogni sguardo. Non cercano solo soluzioni o strategie, ma un modo per attraversare le sfide più difficili. E lo fanno anche osservando come io sono lì con loro.
Come medical coach, quando chiedo: «Di cosa hai bisogno, ora? Cosa stai sentendo? Cosa è davvero importante per te? Come puoi portare un po’ di gentilezza verso te stessa, anche in questo momento difficile?», sto mostrando che esiste un diverso dialogo possibile con sé stessi. E quando la persona inizia a farlo suo, non è perché gliel’ho spiegato, ma perché l’ha colto dall’esperienza diretta.
Tutto questo mi riporta a una riflessione essenziale: nel coaching non portiamo trasformazione solo con le domande, con il nostro approccio o il nostro stile, ma anche attraverso il nostro essere in relazione: il nostro modo di ascoltare educa all’ascolto; il nostro modo di accogliere educa alla gentilezza verso sé stessi; il nostro modo di porre domande educa alla curiosità.
Che tu sia un coach o meno, ti invito a porti queste domande:
Cosa noti in chi ti guida? Cosa stai apprendendo, anche senza che tu te ne accorga?
Chiara De Leonardis, Medical & Business Coach