Nel mondo del lavoro si parla spesso dell’interferenza delle emozioni, ma raramente si riconosce quanto esse influenzino davvero ogni aspetto della vita organizzativa. Le emozioni sono sempre presenti: nei rapporti tra ruoli gerarchici, nella collaborazione tra colleghi, nelle presentazioni pubbliche, quando affrontiamo un problema o cerchiamo di raccogliere nuove idee. Cercare di ignorarle corrisponde a rinunciare a una parte essenziale della nostra intelligenza.
Gli atteggiamenti da evitare
Pur essendo consapevoli che le emozioni svolgono un ruolo fondamentale, spesso tendiamo a mettere in pratica atteggiamenti inefficaci nella relazione con esse. Ad esempio, la negazione impedisce di affrontare e risolvere le situazioni spesso amplificando la percezione delle difficoltà. L’evitamento presuppone l’esistenza di un problema, ma lo lascia irrisolto: un approccio difficile da sostenere a lungo. Accade anche di identificare l’emozione che proviamo con l’interezza di noi stessi: diciamo “sono arrabbiato” invece di “sento l’emozione della rabbia”. Una modalità che spesso peggiora la qualità della vita. Le emozioni però non possono essere eliminate: fanno parte della nostra struttura e del nostro funzionamento.
Emozioni e coaching
Nei percorsi di coaching è tipico riscontrare che il tema delle emozioni non è quasi mai la priorità dei clienti. Tuttavia, prima o poi, esso rientra in gioco.
Le emozioni sono risposte elettrochimiche agli stimoli esterni: possono essere piacevoli o spiacevoli, ma tutte sono utili. Ognuna è portatrice di un messaggio: ci allerta di fronte alla percezione di un pericolo, ci mette in guardia da qualcosa che potrebbe essere sgradevole e farci del male, ci indica se qualcosa ci annoia o al contrario ci affascina ecc. Perciò ignorare una paura o una frustrazione significa costruire una “diga emotiva” che, col tempo, può portarci a reazioni automatiche poco efficaci: blocco, fuga o aggressività. È il cosiddetto sequestro emotivo, un cortocircuito che riduce la lucidità decisionale, ci spinge ad agire secondo automatismi appresi e ci sottrae la libertà di scelta.
Nel lavoro con un coachee è dunque utile fare riferimento ad alcune domande che aiutino a costruire consapevolezza sulla gestione delle emozioni:
- Come mi sento nel riconoscere le emozioni?
- Riesco a stare insieme alle emozioni, senza respingerle?
- Posso agire tenendo conto delle emozioni?
- Le considero quando prendo decisioni?
Le emozioni come bussola
Le emozioni sono dunque una preziosa bussola interna e sono nostre alleate, anche quelle più spiacevoli da sperimentare. Per esempio, la rabbia può indicare la violazione di un valore e ci aiuta a prendere posizione; la paura può segnalare un rischio e va ascoltata per distinguere il reale dal percepito; la tristezza può mettere in evidenza dove le nostre aspettative non sono state soddisfatte, invitandoci a riscoprire i valori che contano davvero trasformandoli in aspirazioni (es. desiderare e impegnarsi a costruire una relazione lavorativa migliore).
È dunque necessario allenare l’intelligenza emotiva fermandosi, prendendo un respiro e ponendosi delle domande che impediscano di saltare a conclusioni affrettate e aprano la possibilità di scegliere risposte nuove più efficaci:
- Che cosa mi sta segnalando l’emozione che provo?
- Qual è il mio bisogno ora?
- Che cosa è davvero importante per me?
- Voglio avere ragione o desidero piuttosto costruire un legame sincero?
Cambiamento e apprendimento
Durante i percorsi di coaching capita spesso di sentire frasi come: «Io sono fatto così», «È il mio carattere» o «È troppo difficile». Se ci fermiamo a riflettere però, ciò che oggi ci sembra facile lo è perché lo abbiamo appreso e ripetuto in passato, spesso per imitazione, senza neanche sceglierlo consapevolmente. Non sempre, però, quelle strategie restano utili. Allenare nuove modalità di risposta significa prendersi la responsabilità del cambiamento. E spesso i coachee rimangono sorpresi da quanto velocemente piccoli aggiustamenti possano innescare una catena virtuosa.









