Essere presenti a distanza

Essere presenti a distanza: lo schermo diventa uno spazio trasformativo

Quando ho iniziato a fare coaching, credevo che nulla potesse sostituire la forza di un incontro in presenza. Pensavo che la relazione con il coachee avesse bisogno di condivisione fisica, di uno sguardo diretto, di un silenzio che si potesse respirare insieme. Poi è arrivato l’e-coaching, e con lui una domanda che non mi ha lasciata per molto tempo: si può davvero essere presenti… a distanza?

All’inizio la mia risposta era incerta. Lo schermo sembrava una barriera, un filtro che rendeva più fragile la connessione. Poi, lentamente, ho scoperto che la vera distanza non è nello spazio, ma nella qualità dell’ascolto. E che la presenza non dipende dal luogo, ma da come scegli di esserci.

La presenza: una competenza che attraversa ogni distanza

Nel modello delle competenze chiave dell’International Coach Federation (ICF), la presenza è uno dei pilastri della professionalità del coach. Significa essere pienamente nel “qui e ora” con il cliente, mentalmente, emotivamente e corporalmente. Essere presenti non è semplicemente “prestare attenzione”: è abitare il momento. Nelle sessioni on line ho scoperto che questa competenza si amplifica.

L’assenza del contatto fisico poi invita ad affinare altri sensi: l’ascolto delle variazioni di tono e di respiro; la percezione delle emozioni che attraversano una pausa; il cogliere le parole che non vengono dette. In quel tipo di spazio, la presenza diventa ancora più intenzionale: una forma di connessione profonda che supera il mezzo tecnico e arriva diretta alla persona. Si rende visibile l’invisibile: si permette al cliente di sentirsi davvero visto, anche attraverso uno schermo.

Quando lo schermo diventa uno spazio trasformativo

Con il tempo ho capito che lo schermo non limita. Definisce semplicemente un altro modo di esserci. In molti casi, il coachee si sente più libero nel proprio ambiente, più disposto ad aprirsi, più autentico. E proprio lì, tra una connessione e un silenzio condiviso, avviene la trasformazione: una parola detta con verità, una consapevolezza che emerge, una decisione che si chiarisce. Non è la distanza a fare la differenza. È la presenza che la colma.

Coaching works. Non perché cancella i chilometri, ma perché insegna che la vera vicinanza nasce dall’intenzione, dall’ascolto e dal rispetto del tempo dell’altro. E ogni volta che, anche dietro uno schermo, qualcuno trova chiarezza, sento che quel momento è reale. Che lo spazio virtuale può essere uno spazio di verità.

L’ho letto per te – Presence-Based Coaching di Doug Silsbee

Un testo imprescindibile per chi vuole comprendere la presenza come competenza viva e trasformativa. Silsbee (1954-2018), fondatore del metodo del Presence-Based Coaching and Leadership, la descrive come la “meta-competenza” del coach: la fonte da cui nascono tutte le altre.

Tre intuizioni chiave:

  1. La presenza come ancora. Essere centrati non significa controllare, ma radicarsi per accompagnare.
  2. Osservare se stessi mentre si ascolta l’altro. Il coach consapevole riconosce le proprie emozioni e le usa come bussola, non come interferenza.
  3. Il potere del silenzio. Non è vuoto: è lo spazio in cui la trasformazione trova voce.
Un esercizio pratico

Prima di iniziare una sessione on line, fermati per 60 secondi. Fai un respiro profondo e affronta l’incontro con una sola intenzione: «Essere qui, adesso». Non serve altro. Tutto il resto nasce da lì.

E tu? Quando sei in una call, sei collegato… o sei davvero presente?

Adele Eberle,  Talent & Performance Leader, Master Certified Coach (ICF)

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Author: Adele Eberle

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