Sfide contemporanee per le aziende

Sfide contemporanee per le aziende: evolvere mantenendo il proprio DNA

Intervista a Stefano D’Agostin, HR Manager di Vitale Barberis Canonico

Le aziende oggi dovrebbero affermare con chiarezza i propri valori, imparando a raccontarsi come brand: solo così possono intessere legami autentici sia all’interno, tra responsabili e dipendenti, ma anche con i clienti.

Silvia Pallaver ha intervistato a riguardo Stefano D’Agostin, dal 2011 responsabile delle risorse umane del lanificio Vitale Barberis Canonico, una realtà storica e di eccellenza del territorio biellese “dietro le quinte” della moda. Laureatosi in giurisprudenza, intraprende la carriera forense per poi capire che per far emergere le proprie attitudini avrebbe dovuto dedicarsi alle persone e «lavorare per e con loro», puntando soprattutto sulla formazione.

Stefano quali sono, secondo te, le sfide più rilevanti che affrontate come azienda nella gestione dei dipendenti?

Io vedo una sfida in particolare, che si pone come una sorta di ossimoro: evolvere, cioè adattarsi ai linguaggi e alle esigenze delle nuove generazioni (soprattutto nel post COVID), ma insieme mantenere il nostro DNA di azienda manifatturiera, senza dimenticare la nostra identità e storia. Questi sono valori imprescindibili che ci hanno permesso di prosperare per oltre vent’anni in un piccolo distretto italiano, alimentando lavoro, cultura, valori e territorio. Esportiamo circa l’80% dei nostri prodotti, abbiamo clienti in quasi 100 Paesi, e viviamo tra la dimensione locale e quella globale: una sfida enorme, cambiare, crescere ma rimanendo fedeli a sé stessi. Sembra una contraddizione, in realtà sono due facce della stessa medaglia.

Si tratta quindi di prendersi cura della vostra identità mentre il mondo cambia rapidamente, con l’avvento di nuove generazioni e nuovi linguaggi, rimanendo radicati in uno specifico territorio.

Esatto. L’inserimento di colleghi giovani rappresenta già di per sé un’evoluzione, necessaria per la sopravvivenza dell’organizzazione e per trasformare le dinamiche culturali. È sufficiente avere accanto a sé una persona più giovane per avviare una trasformazione che si dimostra naturale. Sono persone diverse, generalmente più veloci e pronte ad accettare i cambiamenti che affrontiamo. Stimolano anche chi ha più anni di esperienza a non restare ancorato al paradigma del “si è sempre fatto così”, che a volte può essere un ostacolo. Allo stesso tempo, le nuove generazioni devono essere accompagnate da chi ha più esperienza, per bilanciare istintività e coraggio con la maturità e la razionalità. Il valore dell’organizzazione è un mix di esperienza e sana inquietudine giovanile che va gestita e accompagnata.

Come state strutturando questo dialogo e l’incontro tra generazioni?

Prima svolgevamo attività di coaching specifiche, spesso su aspetti tecnici super specialistici ma sondando poco l’io professionale di chi li avrebbe presidiati in azienda. Poi con i·dive di Gruppo Pragma abbiamo scoperto nuove modalità di coaching, che sono espressione tecnologica di un dialogo e di una crescita condivisa con un coach-tutor. Lo strumento a distanza consente di integrare i momenti di confronto, riducendo la criticità e la pesantezza rispetto all’incontro dal vivo. La necessità di raccontarsi e di essere ascoltati a volte viene agevolata dalla tecnologia, che filtra timori e paure.

Quali sono, secondo te, le competenze più importanti da sviluppare per il futuro, anche per le nuove generazioni?

L’approfondimento specialistico e il presidio di alcune competenze tecniche non possono venire meno, non ci si può solo affidare agli strumenti digitali. È essenziale formarsi, studiare, fare esperienza diretta. Poi c’è tutto il mondo dell’io, ciò che siamo e possiamo rafforzare, le competenze trasversali, le soft skills. Serve conoscenza di sé e dell’organizzazione, ascolto, visione, istintività. È un processo continuo: chi compone le organizzazioni oggi, domani e dopodomani avrà sempre bisogno di queste competenze.

Non bisogna quindi essere bulimici di nozioni, ma è fondamentale sostare sulle cose, approfondire e allo stesso tempo vivere le relazioni. La funzione HR resta umana: vedere l’altro, capire dove può andare, dove può non farcela o dove serve un supporto.

Certamente, e in questo rientra il tema del welfare che non è solo materiale, ma riguarda anche i principi, le relazioni. Le organizzazioni e le persone che le compongono sono, con reciprocità, il vero welfare: oggi, lo dico con un certo rammarico, vedo meno ricerca di identificazione tra individui e organizzazione, sono convinto che dobbiamo spingere di più su questo “welfare immateriale”. Cambiano i tempi ma non può cambiare il valore per il singolo di aspirare e di trovare l’ambiente e l’organizzazione giusta.

Quando si parla di attrarre e selezionare talenti, si monetizzano welfare e benefit, ma tutto il valore reale non può essere convertito in euro. Vivere il posto di lavoro significa anche ricevere il sorriso di un collega, parlare tra affini, creare sinergie e relazioni autentiche e riconoscere i propri pregi e difetti. Questa consapevolezza organizzativa, il sapere lavorare su ciò che si è, il raccontare la verità e non inventare una fotografia “falsa” o sfocata del proprio contesto, ha un valore enorme per me e per l’azienda.

Silvia Pallaver, Head of Coaching and Mentoring Unit, Certified Coach and Learning and Development Expert

Stefano D’Agostin, HR manager di Vitale Barberis Canonico

Silvia Pallaver
Author: Silvia Pallaver

Head of Coaching and Mentoring Unit, Coach ICF

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