Intervista a Simone Giovarruscio, People Development & Culture Director in SIAE
In un’epoca di continui mutamenti organizzativi e tecnologici, fare formazione in azienda non significa più “insegnare competenze”, ma attivare processi di apprendimento continuo e diffuso, capaci di coinvolgere tutta l’organizzazione. In una parola, formare significa trasformare. Simone Giovarruscio, esperto di sviluppo organizzativo e innovazione HR, in questa intervista ci guida tra i grandi cambiamenti che stanno trasformando il modo in cui apprendiamo, lavoriamo e collaboriamo: dal ruolo strategico delle soft skills alla diffusione dell’AI nei processi formativi, fino alle nuove frontiere come il neurogaming e i coaching diary digitali per sviluppare l’intelligenza collettiva. «Meno lezioni frontali, più esperienze di apprendimento integrate e tecnologicamente avanzate»: ecco come stanno facendo ora formazione le aziende. Un cambio di paradigma che riguarda non solo i contenuti, ma il modo stesso in cui si impara e si lavora insieme.
Il punto di partenza, o forse di arrivo, è che le tecnologie non sostituiscono le persone, ma ne potenziano intelligenza, relazioni e capacità di adattamento. Per mantenere competitività e adattabilità le aziende devono adottare approcci formativi innovativi e flessibili, integrando tecnologie digitali, personalizzazione e apprendimento continuo. Cosa significa oggi fare formazione in aziende ad altissimo tasso di cambiamento?
Bisogna cercare di plasmare l’organizzazione nei suoi comportamenti abituali e più frequenti verso un modo di affrontare il lavoro come continuo apprendimento, parola su cui occorre spostare il focus rispetto a “formazione”. Da qui, ad esempio, discende una grande attenzione allo sviluppo della cultura del feedback, a sistemi di lavoro per obiettivi, preferibilmente OKR (Objectives and Key Results), a disegnare processi e organizzazioni sulla base delle skills delle persone e di quelle future ancora da sviluppare: la cosiddetta Skill based organization. Per gli addetti ai lavori appare evidente che questi processi non rientrano solo sotto le pratiche del team Formazione, ma sono chiaramente elementi di framework che incidono sul come generiamo apprendimento nelle persone che vivono l’organizzazione. Il cambiamento rapido, come lo è quello della società in cui viviamo, può essere cavalcato solo da una quotidianità fatta di attitudine al self-learning, che la funzione HR deve facilitare e stimolare.
Quali skills sono oggi necessarie?
Problem solving, capacità di lavoro in team, intelligenza emotiva, adattabilità, comunicazione interpersonale… Competenze trasversali necessarie per quattro motivi principali:
- Prima di tutto, ci rendono distintivi rispetto alle macchine, soprattutto le skills più afferenti alla sfera emotiva e intuitiva.
- Secondo aspetto, sono abilitanti nell’apprendere velocemente nuove competenze tecniche e nel rinnovare continuamente il proprio profilo professionale: è quella che in gergo chiamiamo Job rotation frequence.
- Terzo, permetteranno ai lavoratori della conoscenza, i knowledge worker, di non scatenare una battaglia evolutiva con l’AI e anzi creare un’alleanza funzionale uomo-macchina.
- Infine, ci permettono di rimanere allenati all’interazione umana che vedrà un’ulteriore diminuzione quotidiana per via delle attività sempre più automatizzate, dalle più semplici alle più complesse.
A proposito di AI, come sta già trasformando competenze, formazione e processi HR e cosa aspettarci per il futuro?
L’AI sta già cambiando il nostro modo di apprendere e sta permeando il modo di sviluppare le nostre intelligenze, soprattutto quelle interpersonale, intrapersonale e linguistica-verbale. Solo che non ne siamo propriamente coscienti, un po’ come è successo con l’era dei social media che, a mio modo di parere, ci ha profondamente portato a un’involuzione delle capacità relazionali e sociali mentre pensavamo le stesse ampliando. Le tecnologie, se usate bene, possono continuare a essere grandi alleate dell’apprendimento. Fare formazione oggi significa sicuramente comprendere come facilitare l’apprendimento tramite la tecnologia.
I team di formazione nelle aziende devono studiare e comprendere da subito il fenomeno di complementarietà uomo-macchina per progettare esperienze AI based e aiutare le persone nell’utilizzo della Gen AI, utile al loro sviluppo personale e alla loro efficienza lavorativa. Servono sempre più agenti che consiglino le iniziative di formazione più adatte al momento, ai bisogni e al percorso della persona.
I cambiamenti apportati dall’AI vengono recepiti dalle aziende?
Al momento le aziende stanno impiegando troppo tempo, secondo me, a comprendere le molteplici implicazioni dei radicali cambiamenti che potrebbe creare l’Intelligenza Artificiale. Soltanto recentemente sono stati avviati e pubblicati i primi studi su come organizzare un’azienda in base alle nuove tecnologie e di conseguenza come organizzare il lavoro dell’essere umano. Ora potrebbe essere il momento giusto per accorgersi che i modelli organizzativi tradizionali, applicati dal 90% delle organizzazioni, non sono più adatti al nuovo paradigma.
Ci faccia un esempio.
Ad esempio, le aziende dovrebbero ristrutturare l’organizzazione della loro knowledge base interna a favore di una fruizione ultrarapida della conoscenza collettiva da parte delle persone, tramite agenti AI. La struttura della knowledge base deve essere riprogettata per far sì che un chatbot o un’agente di Gen AI possa impararla e riconsegnarla al bisogno dopo una richiesta attraverso i prompt. Riprogettare la knowledge base significa anche ripensare il modo in cui ogni giorno le persone la alimentano e quindi accompagnarle in un nuovo modo di scrivere, archiviare, salvare, condividere i documenti oppure può fornire un assist su come ripensare alcuni ruoli nell’organizzazione verso attività a maggior valore aggiunto.
Come saranno le imprese di domani?
È probabile che le aziende del futuro saranno quasi totalmente automatizzate, AI based. In questo contesto sarà ancor più centrale che gli esseri umani sappiano relazionarsi tra loro oltre che con le macchine. Dunque, scommetto su un futuro in cui ci sarà ancora più bisogno di competenze trasversali e relazionali: sarà necessario acquisirle ed esercitarle quotidianamente.
Gli HR in questo scenario saranno ancor più centrali o no?
Assolutamente sì. In particolare, su cinque punti, frutto proprio di un brainstorming con un chatbot AI: l’HR deve e dovrà essere sempre più creatore di significato, facilitatore di connessione, custode della cultura, osservatore empatico, narratore di storie.
Come cambieranno in futuro le modalità di apprendimento?
Oggi, tra le frontiere più interessanti, si trova la gamification: una metodologia ormai consolidata nel mondo della formazione. Per applicare al meglio è necessario combinarla con una progettazione delle esperienze che parte delle specifiche esigenze delle persone e dell’azienda. Basata sulla stessa tecnologia è il neurogaming, una pratica particolarmente adatta a sviluppare competenze quali gestione dello stress e resilienza, capacità decisionali e problem solving, empatia e intelligenza emotiva. Capacità che, fino ad ora, con le tecnologie attuali, non erano sviluppate in modo efficace, se non ricorrendo al confronto con altri esseri umani in contesti reali in cui si sprona alla socializzazione e alla cultura del feedback.
Lei ha promosso il metodo i•dive di Gruppo Pragma in SIAE, com’è andata?
i•dive è un esempio di utilizzo intelligente della tecnologia applicata a un processo estremamente umano. Potenzia la pratica dialogica del coaching che però rimane human to human nonostante oggi esistano diversi dati che dimostrano che la Gen AI è sempre più utilizzata anche come coach o partner per il proprio sviluppo personale.
Volendo investire su percorsi di coaching rivolti a cluster manageriali sapevamo quanto fosse centrale investire su un servizio di coaching che, grazie a una piattaforma digitale, potesse aiutare i/le manager in esercizi quotidiani che fanno la differenza nel trasformare in abitudine un comportamento nuovo. L’efficacia sta proprio nella tecnologia come elemento potenziante i momenti che intercorrono tra una sessione di coaching e l’altra.
Quali risultati avete raggiunto o pensate di raggiungere?
i•dive ha incentivato lo scambio di feedback tra le persone all’interno del cluster manageriale, che stavano facendo contemporaneamente dei percorsi di coaching individuali all’interno dell’azienda. Dunque, anche qui, la piattaforma è diventata elemento potenziante la relazione umana e l’apprendimento tramite l’esperienza di socializzazione e lo strumento del feedback.
Il coaching è già uno dei metodi di sviluppo individuali più trasformativi, ma se viene potenziato da un diario digitale come quello presente su i•dive, può davvero aver un impatto straordinario nelle organizzazioni. Noi avevamo delle aspettative che sono state ampiamente attese e adesso iniziamo a vederne gli effetti su tutta l’organizzazione. Il coaching per me è uno dei massimi strumenti per facilitare cambiamenti individuali e collettivi. Però, dobbiamo renderci conto, in ogni aziende, che il cambiamento culturale e collettivo degli esseri umani ha bisogno di tempo e spesso questo cambiamento è più lento delle trasformazioni tecnologiche.
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