L’attualità dei classici
«Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire»
scrive Italo Calvino in un celebre saggio dal titolo Perché leggere i classici. Una definizione semplice, ma potentissima: i classici sono opere che, pur appartenendo al passato, continuano a parlare con voce attuale.
Molto spesso associati ai “libri noiosi” imposti a scuola, i classici sono quei testi che hanno attraversato il tempo, che hanno formato il pensiero, la lingua e l’immaginario di diverse culture. Leggerli significa entrare in dialogo con uomini i cui interrogativi sul senso dell’esistenza, sulla giustizia e sull’amore si rivelano ancora attuali.
Esperienze umane senza tempo
Si pensi alla celebre terzina che apre la Divina commedia:
«Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita».
Non è altro che la storia di un uomo arrivato a metà dei suoi anni, nel “mezzo del cammino della sua vita”, e che vive un momento di smarrimento in un mondo che si fa buio e difficile da attraversare. Si tratta di una vicenda prima di tutto umana, di un momento di crisi personale e spirituale, che Dante racconta come l’inizio di un percorso di scoperta e ascesi nell’Aldilà, che ancora oggi, a distanza di più di 700 anni, mantiene la sua capacità di parlare ed emozionare.
L’importanza di leggere i classici era chiara anche a Niccolò Machiavelli, grande diplomatico di epoca moderna, che ha consegnato al pensiero occidentale uno dei più determinanti testi politici, Il Principe. Machiavelli si ritirava ogni sera nel proprio studio per dedicarsi alla lettura di classici, una volta terminati gli affari di uomo di stato. Racconta, in una lettera all’amico Francesco Vettori nel 1513, di chiudersi
«dove io non mi vergogno parlare con loro e interrogarli sulle loro azioni; e quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia, dimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi trasferisco in loro».
Trasferirsi in un altrove per trovare se stessi
In contraddizione al tempo dell’“utile” e del lavoro le voci dei classici popolano lo spazio dell’otium, del tempo libero dalle occupazioni della vita, che i latini contrapponevano al negotium. Ed è proprio in questo piccolo dettaglio etimologico che è possibile azzardare l’ipotesi che l’uomo ha prima avuto bisogno di dare un nome all’ozio, forse considerandolo una necessità prioritaria rispetto alla sua privazione, ossia al nec otium.
I classici richiedono lentezza, attenzione, profondità e anche fatica – alcuni passi della Divina commedia sono così oscuri da avere ancora diverse interpretazioni. Ma oltre a promettere di affinare il pensiero, il linguaggio e l’empatia, hanno la capacità di “trasferire” chi li legge in quell’“altrove” in cui si ritrovava 500 anni fa anche Machiavelli. In fondo, come scriveva Calvino,
«il classico è un libro che ci aiuta a capire chi siamo, anche quando parla di un mondo che sembra lontano anni luce dal nostro».
I classici: risorse per affrontare le sfide contemporanee
Non sorprende, dunque, che oggi i classici vengano ripresi anche in ambiti apparentemente lontani, come il coaching. All’interno del modello i•dive, che integra sviluppo personale, riflessione guidata e tecnologia, i testi classici diventano una risorsa preziosa per stimolare consapevolezza e trasformazione. Le storie di Ulisse, Antigone o Enea, ad esempio, offrono metafore potenti per esplorare dilemmi interiori, prendere decisioni complesse, affrontare cambiamenti. Sono archetipi vivi, che parlano alle sfide contemporanee di manager, team e organizzazioni, e che – se riletti con strumenti adatti – aprono nuove prospettive.
Le metafore, infatti, hanno un ruolo centrale nell’apprendimento: aiutano a rendere accessibile ciò che è complesso, creando connessioni tra esperienza, emozione e pensiero. È attraverso le immagini, i simboli e le analogie che spesso comprendiamo davvero ciò che ci riguarda. Per questo, nelle “palestre” di i•dive, anche i testi letterari trovano spazio accanto alle esperienze professionali: perché generano significati, attivano empatia, trasformano l’astratto in vissuto. I classici, in questo senso, non sono soltanto letture del passato, ma dispositivi di apprendimento profondo, capaci di accompagnare chi legge alla scoperta di se stesso.
Martina Vodola, Laboratorio di editoria dell’Università Cattolica
In collaborazione con Oriana Cok, Amministratrice delegata di Gruppo Pragma