La trappola della lettura del pensiero
Proseguendo nella nostra esplorazione delle conversazioni difficili iniziata con l’analisi della loro struttura e della trappola della verità unica, vorrei porre attenzione su un meccanismo ricorrente.
Spesso i coachee mi dicono: «Il mio collega ha volutamente escluso il mio team dalla presentazione per farmi fare brutta figura» oppure «Il mio capo mi delega progetti complessi perché vuole mettermi in difficoltà». Quando chiedo: «Come fai a saperlo con certezza?», la risposta è sempre simile: «È evidente dal suo comportamento». Ma stiamo davvero osservando intenzioni o solo l’impatto che subiamo? D’altro canto, quante volte abbiamo detto: «Ma io non volevo offenderti, avevo buone intenzioni»? Come se le nostre intenzioni potessero cancellare l’impatto negativo delle nostre azioni.
I due errori fondamentali
Stone, Patton e Heen identificano in Difficult Conversations due errori speculari. Il primo: assumiamo di conoscere le intenzioni dell’altro, quando abbiamo accesso solo all’impatto delle sue azioni su di noi. Vediamo un comportamento, ne subiamo le conseguenze, e automaticamente attribuiamo un’intenzione.
Il secondo errore è speculare: assumiamo che le nostre buone intenzioni siano sufficienti, senza riconoscere l’impatto reale sull’altro. Converrete che le intenzioni sono rilevanti, ma non bastano. L’impatto è reale, indipendentemente dalle nostre intenzioni. Questi due errori creano un circolo vizioso perfetto per l’incomprensione.
Uno strumento per separare ciò che sappiamo da ciò che assumiamo
Provo a darvi una chiave di lettura pratica. Nelle sessioni di coaching, uso una mappa semplice ma potente che Stone, Patton e Heen chiamano Disentangle Impact and Intent – separare impatto e intenzioni.
Di cosa siamo consapevoli:
- le nostre intenzioni: sappiamo cosa volevamo ottenere, anche se non sempre in modo chiaro o univoco;
- l’impatto dell’altro su di noi: sappiamo come ci siamo sentiti, quali conseguenze abbiamo subito.
Di cosa NON siamo consapevoli:
- le intenzioni dell’altro: possiamo solo ipotizzarle, non conoscerle con certezza;
- il nostro impatto sull’altro: possiamo immaginarlo, ma non possiamo sapere esattamente come si è sentito.
Questa distinzione cambia radicalmente il modo di preparare e condurre le conversazioni difficili. Prima della conversazione, è utile porsi alcune domande:
- per verificare le mie assunzioni sulle intenzioni altrui: qual è il comportamento osservabile? Qual è l’impatto che ha avuto su di me? Quale intenzione sto attribuendo? Quali altre intenzioni potrebbero spiegare lo stesso comportamento?
- Per comunicare il mio impatto senza difendermi solo con le intenzioni: quali erano le mie intenzioni? Qual è stato probabilmente l’impatto sull’altro? Come posso comunicare riconoscendo l’impatto, non solo difendendo le intenzioni?
Nel coaching ICF, questo approccio si collega alla competenza di comunicare in modo diretto: essere capaci di condividere osservazioni concrete piuttosto che giudizi o interpretazioni. Questa distinzione tra fatti osservabili e interpretazioni vale in ogni contesto dalle valutazioni di performance, ai conflitti in team, fino alle dinamiche familiari. Ciò che cambia è il contenuto specifico, ma la struttura resta la stessa.
Le vostre conversazioni
Vi lascio a riflettere con alcune domande. Pensate a una conversazione difficile recente o imminente: quale intenzione state attribuendo all’altro? Su quali comportamenti osservabili si basa questa attribuzione e quali altre intenzioni potrebbero spiegare gli stessi comportamenti? Se l’altro ha reagito negativamente alle vostre azioni, quali potrebbero essere state le conseguenze reali per lui/lei, indipendentemente dalle vostre intenzioni? Come cambierebbe la conversazione se comunicaste l’impatto subito senza attribuire intenzioni, e riconosceste il vostro impatto sull’altro oltre alle vostre intenzioni?
La consapevolezza del confine tra ciò che sappiamo e ciò che assumiamo è il fondamento per conversazioni più oneste e generative.









